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  • Preziosi e l'incubo retrocessione, Ferrero manca ancora l'Europa e vende: Genoa e Sampdoria, è crisi

    Preziosi e l'incubo retrocessione, Ferrero manca ancora l'Europa e vende: Genoa e Sampdoria, è crisi

    • Renzo Parodi
    Una vecchissima barzelletta, perfettamente reversibile e ora tornata di moda, racconta a Genova che un anziano tifoso del Genoa, in punto di morte avesse convocato i figli esprimendo le ultime volontà: “Voglio essere sepolto avvolto nella bandiera della Sampdoria”. Sbalorditi i figli non credevano alle proprie orecchie: Ma papà, perché? ”Perché se devo morire è meglio che muoia uno di loro…”. Faccia ridere o no, la storiella è tornata d’attualità  dopo il capitombolo interno della squadra di Giampaolo contro l’Empoli. Che ha rilanciato i toscani nella corsa alla salvezza e messo nei guai il Genoa, fiducioso alla vigilia che i cugini l’avrebbero aiutato a togliersi dai guai. Prandelli aveva avuto il coraggio (qualcuno ora glielo rimprovera) di dichiarare che avrebbe tifato Sampdoria. Apriti cielo. Sale sulle ferite e atmosfera pesantissima in città fra le due fazioni. I tifosi del Vecchio Grifone accusano la Sampdoria di aver voluto aiutare l’Empoli in odio al Genoa. Preziosi ha parlato addirittura di una “buffonata”. I fans blucerchiati ribattono che è una stupidaggine alimentare sospetti. Il Genoa si salvi da sé, se ne è capace.

    Il calcio a Genova è una sorta di malattia sociale. Nella città che vive appesa al pallone che rotola, che non possiede un palazzetto dello sport e dunque è condannata a rinunciare a basket, volley, sport di palestra, atletica indoor; nella città che non ha mai visto un ippodromo né un velodromo (il Carlini è un monumento quasi inservibile se non per il rugby) il calcio è il Gran Moloch che tutto assorbe e annulla. La stagione è precipitata rapidamente per entrambe le squadre. La Sampdoria è tagliata fuori dalla corsa all’Europa, fosse pure quella piccola. Il Genoa è scivolato addirittura nell’imbuto della zona calda, fino all’attuale quart’ultimo posto in classifica, con un punto di vantaggio sull’Empoli (due, per via degli scontri diretti) e la prospettiva di giocarsi la vita nei 90’ di sabato col Cagliari al Ferraris. Da settimane i tifosi rossoblù sono scesi sul piede di guerra. Sciopero del tifo, la gradinata Nord disertata in massa, al grido di: “Preziosi vattene!”. Scontro frontale col presidente, da mesi esule volontario dallo stadio casalingo e costretto ad essere scortato dalla Digos ogni volta che mette piede (raramente) in città. La goccia che ha fatto traboccare il vaso? La cessione a gennaio del bomber Piatek, passato al Milan per 34 milioni di euro. Neppure una gran cifra, viste le prodezze del polacco. Da allora, la discesa in classifica, lenta e inesorabile. L’exploit della vittoria sulla Juventus, ma anche il tonfo nel derby, fino alla crisi conclamata. Con Ballardini in panchina e Piatek al centro dell’attacco il Genoa aveva iniziato il campionato alla bersagliera, ma il gioco sparagnino del tecnico romagnolo non piaceva a Preziosi che all’ottava giornata del girone di andata, con il Grifone a metà classifica, lo aveva liquidato ripescando Juric, a sua volta licenziato nella stagione precedente a pro di Ballardini. Misero il bottino del tecnico di Spalato (2 punti in sei partite) e dentro Prandelli che ha fatto un po’ meglio ma non tanto meglio: media punti 0,90 a partita, roba da retrocessione sparata. Infatti dopo la sconfitta interna col Torino Preziosi aveva deciso di licenziarlo, richiamando Ballardini, a suo tempo liquidato perché “scarso”. Accordo non trovato perché il tecnico di Ravenna aveva chiesto di prolungare il contratto al giugno 2020 e da quell’orecchio Preziosi non ci sentiva.

    Ed eccoci all’oggi, nell’incubo di una caduta in B che risulterebbe catastrofica anche per i conti della società. Preziosi li annuncia in miglioramento. Promette di eliminare nel corso dell’esercizio corrente il debito residuo con l’Erario, sceso da 63 a circa 58 milioni al dicembre 2018. Ma la gente non lo segue più e non comprende tanto ottimismo. I conti del Genoa restano critici. L’esercizio si è chiuso con circa 4 milioni di rosso e solo la plusvalenza realizzata a gennaio 2018 attraverso la cessione del giovane Pellegri al Monaco (oltre 20 milioni di euro) ha permesso di evitare di ricadere nella fattispecie prevista dal codice civile: perdite che superano un terzio del capitale sociale. Nel 2018 le plusvalenze realizzate, linfa assolutamente vitale per la sopravvivenza del Grifone, si sono attestate poco sotto i 49 milioni di euro, mentre la cessione di Piatek (34 milioni di euro) al Milan sarà conteggiata nell’esercizio successivo, permettendo di  evitare nuovamente di dover reintegrare con denaro fresco il capitale sociale. I diritti tv sono cresciuti da 36.693 e spiccioli a 43.184 e spiccioli, con un incremento di quasi sei milioni e messo di euro. E tuttavia la situazione debitoria resta elevata. Nel bilancio consolidato, che comprende i conti del Genoa cfc e della controllata Genoa Image srl, la situazione debitoria si attesta a 203 milioni di euro. Il debito verso le banche è sceso a poco più di 9 milioni, quello verso i fornitori a quattro ma sono ingaggi e stipendi ad appesantire i conti: 52 milioni e mezzo sono troppi per un club come il Genoa che ne fattura una sessantina, al netto delle plusvalenze.

    La Sampdoria al contrario sta molto bene in fatto di numeri. L’ultimo bilancio si è chiuso addirittura con un utile di 12 milioni di euro. La situazione debitoria tuttavia si è appesantita a causa dei mutui contratti col Credito sportivo per finanziare il rifacimento del centro di allenamento di Bogliasco che sarà pronto in autunno e costerà circa 25 milioni di euro. Una voce ulteriore di aggravio sarà rappresentata dagli investimenti per la ristrutturazione dello stadio Lugi Ferraris di cui Sampdoria e Genoa in joint venture presto otterranno dal Comune di Genova la concessione di superficie per i prossimi 90 anni. Nelle prossime tre stagioni sono previsti interventi per 35 milioni di euro che toccheranno gli spogliatoi, l’area hospitality (con nuovi box riservati ai vip), spalti, servizi di ristorazione, accoglienza e intrattenimento. Obiettivo: rendere il glorioso impianto adeguato alle necessità moderne e trasformarlo da un costo in un asset che produce reddito.

    Nel frattempo tuttavia come Preziosi anche Massimo Ferrero detto il Viperetta deve fare i conti con la contestazione del pubblico. La maggior parte dei tifosi della Sampdoria non si sente rappresentata da lui, detesta certe esternazioni scomposte e, memore dello stile di Paolo Mantovani e Riccardo Garrone, non si riconosce negli atteggiamenti anticonformisti del romano di Testaccio che cinque anni fa si ritrovò proprietario del club senza aver tirato fuori un euro. Edoardo Garrone gli affidò la Sampdoria con l’intesa che l’avrebbe alleggerita dei costi fissi eccessivi e pilotata verso una condizione di classifica migliore. Entrambi gli obiettivi sono stati raggiunti, è mancato però quel salto di qualità che era nei programmi. L’Europa è rimasta un sogno, visitata una sola volta nella stagione 2015/16, grazie al Genoa che non possedendo la licenza Uefa aveva dovuto rinunciarvi a beneficio dei cugini blucerchiati. La squadra affidata a Walter Zenga ballò una sola notte, subito eliminata dai carneadi del Vojvodina, la squadra che fu di Vujadin Boskov. Da allora, molti sogni e tante chiacchiere. Due decimi posti e un nono quest’anno sotto la gestione tecnica di Marco Giampaolo, eccellente maestro di calcio che ha assolto il principale e forse unico compito affidatogli da Ferrero: creare giovani calciatori capaci di produrre corpose plusvalenze.

    Ora però si cambia. Forse. Il club è in vendita, due sono i pretendenti. Un gruppo di investitori, che ha individuato Gianluca Vialli come futuro presidente. Si tratta dei patron dei fondi Capital e Pamplona, rispettivamente James Dinan e Alex Knaster, supportati dal finanziere Fausto Zanetton, amico e socio in affari di Vialli. Il gruppo ha offerto a Ferrero 50 milioni più un’altra ventina sotto forma di bonus. Offerta respinta. L’altro candidato a rilevare le azioni da Ferrero è il principe saudita Abdullah Al Saud, nipote dell’ex re Abdallah e membro della famiglia reale saudita. Rimasto al coperto per settimane – la trattativa era stata condotta dagli inglesi di Aquilor – il principe non ha gradito che il suo nome finisse in pasto alla stampa e ha minacciato di far saltare l’affare. I contatti ora sono stati riavviati ma da parte dei sauditi non c’è fretta di chiudere. L’intervento del principe, comproprietario dello Sheffield United neopromosso in Premier League, fa parte di un disegno politico di ampio respiro, che mira ad inserire l’Arabia Saudita, il colosso del Medio Oriente, all’interno delle dinamiche miliardarie del mondo del calcio occidentale. In concorrenza con gli arcinemici del Qatar che organizzeranno il Mondiale invernale del 2022. A tirare le fila di questo ambiziosissimo programma è il principe Mohammed Bin Salman in persona, erede designato al trono di Riad e autore del processo di riforme e di (moderata) occidentalizzazione del Paese, per decenni rimasto incapsulato nelle antiche regole dalla legge coranica. Quale veicolo migliore del calcio per superare diffidenze assortite e raggiungere ogni angolo del mondo, attraverso quella sorta di esperanto che è diventato il pallone?

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