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Andrea Distaso12 giu 2025, 13:00
Ultimi aggiornamenti: 12 giu 2025, 14:02

Milan, le verità non dette su Reijnders. Perché si vuole cedere così tanto prima di comprare?

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Le parole sono importanti, direbbe Nanni Moretti. Lo sono ancora di più in un'epoca in cui la comunicazione è un aspetto sempre più centrale delle nostre vite e in cui le notizie corrono ad un velocità impressionante con l'avvento dei social e delle nuove tecnologie. Lasciano soprattutto tracce impossibili da cancellare e dunque difficilmente smentibili. Se un alto dirigente di un'importante società di calcio italiana rilascia dichiarazioni che poche settimane dopo vengono completamente cancellate dai fatti, allora il corto circuito mediatico è totale. E solleva, come minimo, degli interrogativi sull'operato di questo dirigente e sulla direzione che questa società stia intraprendendo.

Non vogliamo giocare a nascondino e non è una gara di indovinelli. Quell'alto dirigente si chiama Giorgio Furlani ed il club in questione è il Milan. Che nella giornata di ieri ha ufficialmente ceduto Tijjani Reijnders per 55 milioni di euro più bonus al Manchester City. Privandosi del suo miglior calciatore dell'ultima stagione e di uno dei punti di riferimento dell'attuale squadra, idealmente anche per gli anni a venire, ma soprattutto riportando d'attualità quelle che erano state le parole, a domanda diretta e precisa, dell'amministratore delegato rossonero. “Offerte per Reijnders? Focalizziamoci su cosa fare per rafforzare e non sulle cessioni perché sono stati fatti degli errori e dobbiamo migliorare. Non ci sarà necessità di fare sacrifici sul mercato, anche senza le coppe”. 

Era il 24 maggio, si veniva dalla pesante contestazione della tifoseria del Milan di poche ore prima, antecedente all'ultima giornata di campionato contro il Monza. In un San Siro che, dopo i primi 15' di partita, si sarebbe in buona parte svuotato e che avrebbe accompagnato con fischi, cori di malcontento indirizzati a tutti i componenti del management e pure qualche manifestazione isolata, come quella del tifoso che, rivolto alla tribuna autorità, sventolò la maglia di Paolo Maldini. In quel preciso momento, Giorgio Furlani non se l'è verosimilmente sentita di raccontare come stessero realmente le cose su Reijnders. Perché è poco ragionevole pensare che la trattativa non fosse stata già allestita da tempo e che la situazione sia precitata in nemmeno un mese. Che la mancata partecipazione ad ogni competizione europea nella stagione ventura potesse essere un “pretesto” per ragionare su qualche sacrificio era stato certamente messo in conto, ma il segnale che se ne trae è allarmante.

Il Milan, che pure ha scelto di puntare su due certezze nel panorama del calcio italiano come il neo ds Igli Tare e Massimiliano Allegri come allenatore per ripartire, non si preoccupa di inviare alla propria tifoseria un messaggio rassicurante o di rinnovata ambizione. Curioso che con una proprietà di estrazione statunitense, teoricamente molto attenta al marketing e all'auto-promozione, non si sia cercato di attutire il colpo, di preparare diversamente il proprio pubblico ad una perdita del peso specifico di Reijnders. Magari individuando prima il suo naturale sostituto e “presentarlo” prima della cessione dell'ex AZ Alkmaar; oppure scegliendo un approccio più aderente alla realtà e spiegando i motivi per i quali si è resa necessaria un'operazione che, al momento, si fatica a comprendere anche sotto un aspetto meramente economico.

Perché Reijnders è stato venduto ad una cifra importante – 55 milioni di euro garantiti, ma che coi bonus può avvicinarsi ai 70 – ma non irrinunciabile. Se si arriva da un paio di stagioni consecutive chiuse con un bilancio in attivo, se il fatturato del club è cresciuto, grazie anche ad una strategia che sotto il profilo commerciale ha prodotto i suoi frutti, sino a toccare i 400 milioni di euro, qualcosa non torna. La partenza di Reijnders non sarà infatti l'unica di questa campagna estiva e gli intensi movimenti sul fronte Maignan, Theo Hernandez, Musah (senza dimenticare Tomori, Thiaw e gli altri calciatori che, con un'offerta soddisfacente, possono salutare) stanno creando disorientamento in vista di una stagione alla quale il Milan sembra proiettarsi ancora una volta stravolgendo buona parte delle scelte degli ultimi tempi. Un lancio (col paracadute?) nell'ignoto, cercando probabilmente di mettere a disposizione di Allegri calciatori più pronti per l'immediato e più funzionale al suo gioco. Ma prendendosi comunque l'ennesimo rischio.

L'accusa che viene rivolta verso l'operato dell'attuale società, ai parametri dettati dai vertici con sede a Londra e New York e portati avanti da un manager con esperienza consolidata nell'ambito dei fondi come Giorgio Furlani, è di continuare ad assecondare logiche che col calcio e con la gestione sportiva di una squadra hanno poco a che vedere. Logiche che sono state portate avanti anche quando i risultati c'erano e non facevano certo pensare all'andamento di quest'ultima stagione: Sandro Tonali è stato sacrificato sull'altare del mercato non perché il Milan ne avesse una reale necessità per garantirsi la sostenibilità finanziaria. Ma perché, immaginando il parco giocatori come una serie di investimenti, non appena si sono materializzate le condizioni “ideali” per registrare una buona plusvalenza, si è scelto di mettere questo davanti a tutto il resto. Un ragionamento che, in teoria, sarebbe più facile da far accettare in tempi difficili come quelli attuali, dopo un'annata avara di soddisfazioni e di introiti. A patto che...

A patto che certe dinamiche vengano spiegate in modo più chiaro ed esaustivo, ma soprattutto sincero. Mettendo in conto che certi discorsi possano non trovare l'approvazione della totalità o di una porzione molto consistente del tifo milanista, abituato a guardare al presente e al futuro con altre prerogative, ma ormai entrato nell'ottica che le tante problematiche del sistema calcistico italiano impediscano ai nostri club di poter ragionare come le top squadre straniere fanno. Una gestione più morigerata, che passi tuttavia da una capacità di vendere davvero bene alcuni dei propri pezzi pregiati per poi reinvestire prontamente e bene i proventi, è possibile. E' persino accettabile. Ma va spiegata. Perché nel calcio di oggi le “bugie bianche” rischiano solo di complicare il quadro e generare distacco.

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