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  • Branchini a CM: 'Vidal, Gotze, Coman, è andata così. Muller, c'era lo United'

    Branchini a CM: 'Vidal, Gotze, Coman, è andata così. Muller, c'era lo United'

    C’è chi il mercato, ma ancor prima il calcio, lo vive da dentro. Giovanni Branchini (nella foto con il giovane Calabresi, scuola Roma ora al Livorno) dopo trent'anni è ancora sulla cresta dell’onda. E malgrado il calciomercato sia in perenne evoluzione, lui continua ad esserne un protagonista silenzioso. In pochi, forse quasi nessuno sa che Branchini nella sola sessione estiva ha portato a termine molte operazioni di grande prestigio: da Vidal, Douglas Costa e Coman al Bayern fino a Mandzukic alla Juventus, passando per Miranda all’Inter o Ogbonna al West Ham. E molte altre, come tante sono le sue osservazioni sul calcio di oggi, raccontate in esclusiva ai microfoni di Calciomercato.com.
     
    Iniziamo dalla Juventus e da un’operazione da 40 milioni, vetrina del calciomercato: come nasce l’affare Vidal al Bayern Monaco?
    “L’operazione nasce nel momento in cui il Bayern Monaco decide di acquistare un giocatore importante in quel ruolo. In realtà, la loro esigenza era di prendere prima un esterno e allora abbiamo chiuso l’operazione Douglas Costa, con lo Shakhtar che è un club molto perbene ma con pratiche e tempistiche diverse da quelle generali. Da quel momento in poi, l’obiettivo si è spostato su Vidal: ho cercato di assecondare le loro idee, a quel punto a fari spenti abbiamo definito l’affare quando la Juve ha dato il via libera”.

    Un flash su Douglas Costa: è uno dei top a livello europeo, portarlo al Bayern è stata un’intuizione. Ma Milan o Roma lo hanno cercato davvero?
    “Il Bayern ha fatto un gran colpo. Con mio figlio Giacomo abbiamo seguito Douglas per tanto tempo in Ucraina, stringendo diversi legami; il Bayern Monaco ci ha pensato a lungo e alla fine quando il terreno era pronto si è conclusa l’operazione, che ritengo ottima: quel tipo di giocatore può arrivare ad avere costi assurdi, Costa invece ha avuto un valore tutto sommato accettabile. Ma non c’è mai stato alcun club italiano particolarmente concreto su di lui, al di là delle manovre di disturbo; la scelta è stata molto decisa e ferma”.

     Invece, da quanto il Bayern covava il desiderio di portar via Vidal alla Juve?
    “Il Bayern voleva Vidal già da tempo: lo hanno sempre apprezzato. Quando la Juventus lo ha preso, c’era dietro il Bayern che premeva ma è finito in Italia per una strategia del Bayer Leverkusen. A Torino poi ha fatto molto bene, in Germania lo conoscevano alla perfezione e così hanno pensato di fare questo investimento oculato”.

    Ci racconta quanto ha inciso la volontà del giocatore di cambiare aria?
    “L’affare può aver un po’ ferito i tifosi della Juve, ma nasce dal congiungersi da tante logiche: Vidal era in bianconero da quattro anni, ha vinto praticamente tutto al punto da arrivare in finale di Champions League giocandosela alla pari con il Barcellona il che equivale a una vittoria. Per una scelta di rinnovare, dolorosa ma condivisibile, la Juventus ha preso questa decisione. Vidal non avrebbe mai chiesto in modo prepotente la cessione, al tempo stesso però ha fatto chiaramente capire che sarebbe stato felice di andare a misurarsi in un altro top club come il Bayern Monaco. Questa è stata un’operazione figlia del buon senso”.

    Eppure, in tanti criticano il mercato della Juventus: Lei che l’ha vissuto da vicino come lo valuta?
    “Il mercato è circondato da totali contraddizioni mediatiche. Tutti hanno rimproverato l’Inter del Triplete per non aver venduto i suoi “vecchi” campioni; poi, quando si valutano le scelte della Juventus, per qualche risultato che viene a mancare partono le critiche. Un rinnovamento così grande può portare dei rischi, tra cui una lentezza nell’ingranare. Ma ormai la logica del giornalismo segue spesso la valutazione “sempre” positiva per chi vince e”comunque” negativa per chi perde, senza andare oltre. Basterebbe un po’ di equilibrio”.

    Esempi pratici che non la hanno convinta nei commenti dell’ultimo calciomercato?
    “Molto semplice: chiediamo i giovani nel calcio italiano, poi applaudiamo l’arrivo di “un vecchio pirata” come Felipe Melo. Il pubblico ha chiaramente bisogno di vederla come preferisce, ma l’equilibrio della critica aiuterebbe ad avere una percezione diversa della realtà”.

    Quanto e come sta cambiando il mercato a livello internazionale?
    “Il mercato sta cambiando molto e cambierà ancora, i club italiani devono capirlo: con il potere acquisitivo del calcio inglese si può perdere competitività anche su giocatori di prima e seconda fascia, quindi non solo con le star alla Neymar. Il vero problema è che oggi un Sunderland o un Aston Villa possono spendere come Milan o Juventus, visti gli incassi dai diritti TV. E possono arrivare prima sia sui giocatori giovanissimi che su quelli vicini al fine carriera tentati a prediligere società che garantiscono un ingaggio superiore”.

    Rimedi o soluzioni al problema secondo Branchini?
    “La programmazione, prima di tutto. Cosa rara in Italia, complice anche la miopia dei nostri organi: il calciomercato dura addirittura due mesi in estate, con di mezzo partite di campionato e ben un altro mese a gennaio. Credo sia qualcosa di aberrante. Queste lunghissime finestre di mercato danno il risultato opposto, in quanto i club aspettano l’opportunità degli ultimi giorni. Esattamente il contrario del programmare la costruzione di una squadra, ovvero la strada da seguire per non soccombere”.

    La competenza prima di tutto; ma quanto pesa il fattore rischio sugli investimenti?
    “Bisogna anche voler e saper rischiare. La Juventus ha pagato tanto Dybala, ad esempio; ma è un rischio comprensibile, se fosse andato in un club “medio” tipo il Valencia , per fare un esempio,dopo un anno il prezzo di Dybala sarebbe stato non più di 30/35 milioni ma di 70/80. E lo avrebbe comprato un club inglese, di sicuro. E’ chiaro che tutto questo è rischioso, ma i dirigenti sono pronti anche a questo, mettendoci la faccia”.

    La Juventus ha anche rischiato con una cessione che Lei ha vissuto da vicino, quella di Coman al Bayern Monaco…
    “Sono scelte basate su valutazioni che chi ha i giocatori in casa fa meglio di chiunque altro. Chi lavora ogni giorno con un calciatore ne ha un’idea chiara in testa. Da qui nascono le valutazioni: non vogliamo un calcio di club che falliscono, per cui una plusvalenza come quella di Coman può aprire un margine operativo importante a livello di bilancio. Alla Juventus non sono impazziti tutti: c’è stato un ciclo, ci sono state delle opportunità e adesso si deve ripartire piazzando i tasselli giusti. Così si può seguire la strada di un calcio sano, senza pagliacci o disastri come alcuni fallimenti di questi anni”.

    Ci racconta i retroscena dell’affare Coman? Tanti tifosi bianconeri si chiedono perché è stato ceduto.
    “Tutto nasce anni fa. Perché quando la Juve prese Coman, in realtà, lo soffiò al Bayern Monaco. Era un discorso che veniva da lontano, il giocatore era molto considerato dal Bayern e aveva qualche dubbio sul modulo adottato dalla Juventus essendo fondamentalmente un esterno offensivo. Si vedeva quindi in una situazione più congeniale al Bayern; quel filo non si era mai interrotto,oltretutto i rapporti tra club sono sempre stati ottimi e dopo l’iniziale intenzione di non seguire questa pista, la Juventus anche per volontà di Coman ha deciso di cederlo”.

    Juve e Germania, filo diretto nell’ultima estate: cosa è mancato per vedere Gotze in bianconero, prima ancora di provarci per Draxler?
    “Un’operazione del genere passa anche dalla volontà dei giocatori. Gotze gioca in una squadra importante, ha un contratto importantissimo a Monaco, è tutta da dimostrare la sua volontà di andar via, tutt’altro che scontata. Anche perché fondamentalmente, il Bayern Monaco non andrà mai da Gotze ad annunciare al ragazzo di voler mandarlo via. Quindi sarà sempre il giocatore a chiedere di cambiare aria, come hanno fatto Tévez o Pirlo ricevendo in cambio la risposta civile, seria e corretta della Juventus”.

    Come avete impostato l’affare Mandzukic con l’Atlético Madrid? Non era un’operazione semplice, vista la concorrenza…
    “Da tempo, la Juventus aveva espresso il suo interesse per Mandzukic per una serie di valutazioni tattiche e caratteriali. Il progetto bianconero ha convinto il giocatore più di tutto. Il croato ha fatto un girone d’andata stratosferico all’Atlético, poi ha avuto un problema fisico lui e qualcosa non è andato anche per la squadra. Lo ha frenato il calcio più contropiedistico, di ripartenze, del Cholo Simeone che comunque è stato un gran tifoso di Mandzukic e non lo avrebbe mai mandato via. Ma per il bene di tutti, Mario ha deciso di cambiare anche perché l’Atlético aveva altre esigenze tecniche in attacco. E la Juve è stata la destinazione più gradita”.

    Capitolo Inter: Miranda è stato un affare di caratura internazionale, come è stato pensato e realizzato?
    “Qualche volta bisogna fare uno sforzo per prendere un giocatore a prescindere dal suo “prezzo”, il sacrificio economico va parametrato a quello che l’atleta può apportare nel contesto in cui va a giocare. Miranda si è inserito in un gruppo di buoni difensori, dove mancava un centrale di assoluto spessore che desse sicurezza al reparto. E all’Inter sono andati oltre, perché hanno preso anche Murillo che è decisamente valido; così è nata un’ottima difesa. Miranda è stato convinto da subito dall’Inter: più che questione di soldi, voleva sentirsi centrale in un progetto come gli è stato proposto. Questo fattore è stato valutato come fondamentale dal brasiliano”.

    Il ritorno di Biabiany in nerazzurro, invece, è stato come una favola a lieto fine.
    “Proprio così. Appena ricevuta l’idoneità medica all’attività agonistica, abbiamo pensato il mio collaboratore Davide Bega – su autorizzazione del giocatore – di interpellare alcune società: anche l’Inter,tra molte altre, si è mostrata interessata, ha proposto un programma per Jonathan e per ovvi motivi sentimentali la scelta è stata fatta. Biabiany non ha mai scordato di essere diventato calciatore e uomo con la maglia nerazzurra addosso, così l’operazione è stata piacevole e naturale”.

    Chi viene e chi va: Angelo Ogbonna ha scelto il West Ham, ma quante richieste ha avuto? E perché un giocatore così promettente ha trovato poco spazio?
    “Ogbonna è sempre stato nel mirino di club inglesi, sin da quando era al Torino. Quest’anno lo hanno cercato tre società, pronte a pagare quanto dovuto: Angelo ha preferito il West Ham, ma avrebbe potuto scegliere altri club. Il suo valore non si discute, eppure i giocatori vanno messi in condizioni per rendere al massimo. Molte volte, invece, in Italia promozioni e bocciature sono rapidissime... fin troppo”.

    Qualche caso specifico di giovani a rischio di essere bruciati dalla stampa?
    “Sto osservando con simpatia le prestazioni di Calabria, al Milan. Ma vedo apparire i riferimenti a Maldini o simili; al suo primo naturale momento di difficoltà, verranno fuori i malumori come se fosse stato lui a paragonarsi a Tassotti o a Maldini. Queste sono cose da cambiare nel nostro calcio: se vogliamo far giocare i giovani, dobbiamo rischiare tutti qualcosa in più. Anche chi giudica deve rientrare in questo equilibrio. Faccio un esempio…”.

    Prego.
    “Mattia De Sciglio. Ha 22 anni, già 19 partite in Nazionale maggiore praticamente saltando l’Under 21. E mai si è paragonato a Maldini o Tassotti. Parliamo di un ragazzo che da quando ha 9 anni gioca con la maglia del Milan, mai criticato per un comportamento, un atteggiamento o una frase fuori posto. Si è infortunato in Nazionale, ha avuto altri problemi che ne hanno condizionato il rendimento che è stato oggettivamente insufficiente per due anni; ma lo spirito dev’essere di aiutare un giovane valido italiano, non di affossarlo. Purtroppo tutto viene usato, i media raramente aiutano. Ho visto dei commenti su De Sciglio totalmente ingiusti: qualche volta ha giocato male, nessuno lo ha mai negato. Ma se quest’anno si riprende e gioca bene, perché non dargli una mano come per Balotelli o Pepito Rossi? Ancor più se si parla di giovani bravi, con qualche problema fisico a condizionarne la crescita”.

    Le critiche – spesso ingenerose – non sono mancate neanche per Montolivo, altro suo assistito.
    “Chi scrive talvolta dovrebbe vergognarsi. Non ho nulla in contrario se Montolivo a fine agosto o inizio settembre non offre una prestazione insufficiente e viene valutata come tale; ci vorrebbe però l’onestà intellettuale di ricordare che a maggio scorso ha subìto un secondo intervento perché si è rotto una tibia con la maglia della Nazionale. Basterebbe un po’ di equilibrio, di rispetto ; delle volte sembra diventare quasi un problema essere perbene. Ci sono giocatori con stampa a favore, evidentemente Montolivo non crea abbastanza tumulti da far notizia per produrre reazioni positive da chi scrive”.

    Quanta fiducia ha il Milan in De Sciglio e Montolivo, per il presente e per il futuro?
    “Io spero per il Milan che abbia fiducia in Montolivo e De Sciglio. Da parte mia, credo in questi ragazzi: hanno il morale alto, stanno giocando da titolari, vivranno partite più o meno buone ma questo fa parte dello sport, dove ci sono componenti diverse rispetto a tutti gli altri ambiti”.

    A Parigi, invece, è arrivato Trapp e Sirigu si è ritrovato in panchina: come si valuta un caso del genere da agente?
    “E’ una situazione molto anomala. Non ci aspettavamo uno scenario del genere: il Psg ha scelto di prendere Trapp, la decisione ha una genesi molto particolare che non voglio rivelare. Sirigu sta facendo quel che devono fare i protagonisti, ovvero allenarsi benissimo e lottare per riconquistare il posto che gli spetta senza augurare il male al suo collega che è totalmente incolpevole”.

    Walter Sabatini conosce bene Sirigu: ha provato a portarlo alla Roma prima di prendere Szczesny?
    “No, realmente no. C’è stato un interessamento del Valencia ma non abbiamo preso in considerazione o cercato una nuova destinazione per Salvatore. La questione di un nuovo portiere è stata talmente sorprendente che abbiamo scelto di andare avanti per quella strada con il Paris”.

    Lei è nel calcio da una vita: come sta vivendo gli scandali attorno a personaggi come Blatter? E come può cambiare il sistema calcio?
    “Io spero che arrivino dei nuovi dirigenti. Non darei troppa colpa alle Federazioni nazionali che hanno le mani legate dalle scelte che arrivano dall’alto; spero che arrivi presto qualcuno che abbia a cuore il futuro del calcio. In questo caso, tante cose si potranno migliorare per gli agenti, per il mercato anche riconsiderando con severità ma pure con realismo il fenomeno dei fondi d’investimento. Servono dirigenti bravi – e ce ne sono molti – che pensino a questo sport che non pensino solo alla loro carriera, come è stato fino ad oggi nella Fifa. Negli ultimi anni, la Fifa ha smesso di regolare il calcio per pensare solo ad organizzare eventi sportivi; spettacoli con attori pagati da altri, nemmeno da loro con la certezza di ricevere degli utili da ogni spettacolo che va in scena. Così sono proliferati tutti i diversi Mondiali “Under”, chi sente l’esigenza di competizioni per un solo anno di età di differenza tra ragazzi? Questo è frutto solo dell’interesse nel creare un torneo in più su cui lucrare”.

    Nei panni del procuratore, invece, come si può regolare un mondo ancora pieno di punti interrogativi?
    “Anche per gli agenti, le questioni sono di semplicissima risoluzione. Basterebbe far sedere a un tavolo dirigenti che conoscano la materia, senza secondi fini. Con buon senso e logica si possono combattere le patologie, creando un sistema europeo che riveli i problemi non appena si presentano. Questo interesse non dà profitti e non dà voti, come può essere far giocare l’Italia contro Malta o l’Inghilterra contro Kazakistan dà i voti a livello elettorale di quei Paesi. Serve una manovra non finalizzata a produrre solo favori elettorali o utili”.

    Lei è vicepresidente degli agenti europei: vista dal suo ruolo, quanto è determinante un agente al giorno d’oggi, nel 2015?
    “L’agente è diventato sempre più importante perché stanno scomparendo i direttori sportivi con voce in capitolo: ci sono presidenti, figli dei presidenti, amici di figli dei presidenti e spesso noi agenti. Questo è il vero problema, si è creato un vuoto a livello di responsabilità “tecnica-sportiva” nei Clubs. E così incontriamo sempre più Clubs che utilizzano la consulenza di professionisti che hanno il tempo per dedicarsi completamente al “mercato”.

    Ovvero?
    “Poter lavorare slegati da una realtà come quella del club. Ci si può dedicare completamente al mercato, agli sviluppi, al conoscere i giocatori e le possibilità di vendita o acquisto durante l’anno. E questo fa la differenza, si possono avere conoscenze allargate anche per questione di tempo che dedichiamo senza avere l’incombenza che porta il ruolo in un club. Ad esempio, noi quest’estate sapevamo che Douglas Costa sarebbe potuto andar via per un valore inferiore alla clausola da 40 milioni di euro, cosa che ha aiutato il Bayern ad operare su quell’affare”.

    Una soluzione secondo Branchini per migliorare il nostro calcio?
    “Ritornerei all’antico e ridurrei la durata del calciomercato. E lo dico da agente, sì: le operazioni vanno fatte per bene, le operazioni devono essere “meditate”, le scene da lancio dei contratti all’ultimo minuto mi fanno vergognare. Ci sono tre mesi e mezzo per operare sul mercato, arrivare all’istante finale fa provare vergogna”.

    Retroscena di mercato di una lunga estate: l’affare impossibile?
    “Il Manchester United voleva a tutti i costi Thomas Muller. Ho passato giorni interi a spiegare che il Bayern Monaco non lo avrebbe mai venduto. E come dimostra questo caso, saperlo dovrebbe essere un vantaggio per un club perché lo aiuta a voltare pagina e non fossilizzarsi su un unico obiettivo”.

    C’è un giocatore che poteva arrivare in Italia e non si è liberato?
    “Molti club hanno cercato Ezequiel Garay, difensore dell’Argentina. Credevano che lo Zenit alla fine avrebbe scelto di cederlo. E invece hanno preferito trattenerlo”.

    Se lo chiedono in tanti: quanto contano le tempistiche nel fare le operazioni di mercato?
    “Devo dire che non c’è una regola precisa sulle tempistiche. Pensate all’operazione De Gea con il Real Madrid, nell’aria da mesi e arrivata all’ultimo minuto fino ad essere fuori tempo massimo, trovandosi con una rivoluzione tra le mani”.

    Nel 2016 ‘compie’ 30 anni da agente: da Careca al Napoli a Ronaldo all’Inter, passando per Guardiola al Bayern. Ma cosa rimane a un procuratore del proprio lavoro?
    “Io vengo dallo sport e la più grande soddisfazione è sentire l’affetto dei miei ex calciatori quando li incontro. Gli affari sono spesso frutto della fortuna o delle circostanze, non sempre della bravura; i rapporti invece sono qualcosa di solido, che non passa nel tempo. E vedere qualche mio ex ragazzo che mi affida il proprio figlio è una sensazione meravigliosa, per un agente è il massimo”.

     
    Fabrizio Romano

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