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  • Baggio, piccolo Buddha e grande bluff

    Baggio, piccolo Buddha e grande bluff

    • Giampiero Timossi
    Il piccolo Buddha e il grande bluff. Sabato Roberto Baggio compirà cinquant'anni e le celebrazioni sono già iniziate. Andranno avanti almeno per una settimana, ormai le cose funzionano così: la concorrenza è spietata anche sulle candeline, meglio portarsi avanti. Prometto che sull'argomento guarderò e leggerò tutto o quasi, ma davvero non riesco a trattenermi nell'esclamare: a me Roberto Baggio non è mai piaciuto! Per dirla alla Nanni Loy non mi è mai piaciuto “in quanto tale, obliquo al quotidiano”. Ci ho provato, lo giuro, ho cercato di esimermi da questo esercizio, perché magari verrà considerato un piccolo gesto di grande superbia, perché si potrà subito dire “lui è Baggio, tu chi cazzo sei?”, perché si potrà sospettare sia il solito caso di pubblicità controcorrente, quello di chi vuole scrivere strano per forza, perché in fondo non mi va di passare sempre per un cinghiale genovese e rugginoso. Poi ho pensato: chi se ne frega, io agli amici del “Charuto” vorrei dire quello che penso, sempre. Penso che Baggio sia stato un grande calciatore, va bene. Ma so che non ha mai suscitato nel mio animo sportivo nessun tipo di passione. Zero, assoluto. Ho avuto per lui una lieve antipatia durante i Mondiali negli Stati Uniti, quando svaffanculò l'Arrigo e mi spinse oltre un confine che ritenevo invalicabile: stare dalla parte di Sacchi. In verità non lo svaffanculò davvero, alla Chinaglia e neppure alla Pellè. Fu un mezzo vaffa dopo un cambio e anche questo sembra confermare la tesi del “coniglio bagnato”, non certo solo mia.

    Per il resto è stata noia assoluta. Vero, a quei tempi, primi anni Novanta, aveva già iniziato a interessarmi più di politica che di calcio. Ero meno affascinato al sistema di gioco 3-4-3 e più appassionato all' inutile battaglia sulle 35 ore lavorative. Era l'unica idea concreta che mi sembrava portassero avanti i miei compagni di Rifondazione Comunista e il segretario milanista Fausto Bertinotti, ovviamente affascinato da Baggio. Lui sì, all'interista Cossutta non osai mai chiederlo, per quanto riguarda il sottoscritto maturai prima un'indifferenza sincera, quindi un pizzico di analitico fastidio.

    Perché? Credo che Baggio avesse un immenso talento, ma una personalità non abbastanza strutturata per sostenere tanta grazie pallonara. Anzi, all'epoca zero strutturata. Questo credevo guardando da lontano il campione. A confermarmi l'analisi è stato anni dopo uno dei pochi giornalisti dei quali mi fido. Seguiva Baggio a Bologna, non riuscì mai ad afferrarlo davvero, confuso nello stormo di amici e protettori. José Mourinho ha detto “chi sa solo di calcio, non sa nulla di calcio”. Per me significa: “Chi sa solo di calcio sa poco del resto”. Una passione per le battute di caccia in Argentina e per i richiami delle anatre, non aggiunge granché al contesto. Non giudico, non m'interessa.

    Baggio, però, ha fatto di più, credo abbia spaccato il mondo del pallone, ma non come hanno fatto prima di lui Coppi e Bartali o Mazzola e Rivera. Lui ha diviso due epoche: si è passati da tifosi a feticisti, da riservati a venditori di privacy. Da ribelli insofferenti agli allenatori a stelle che degli allenatori potevano infischiarsene, a prescindere. Non è stata solo colpa sua, da anni il campione ha un “padrone” e si chiama Petrone, Vittorio di nome. Da manager dell'Icona ha stravinto su tutti i fronti. No, in fondo è stata colpa di Baggio, se l'è scelto lui o comunque ha lasciato che fosse Petrone a scegliere per lui. Per arrivare da Baggio passi da Petrone, sempre, 365 giorni all'anno. Ah, di solito non passi. Per i cinquant'anni del campione pare che Vittorio abbia scelto di non fargli rilasciare nessuna intervista. Pare che il nostro sia a caccia in Argentina, anzi pare di no, comunque io me ne faccio una ragione. In fondo penso avesse più molte cose da raccontare, della sua sincera conversione si è già detto tutto, pazienza se è stata perfetta per affascinare ancor di più un mercato del pallone che emergeva proprio negli anni Novanta, quello d'Oriente. Se parla, di solito, Baggio dice “restate umili” e la sua umiltà è sincera, potrei scommetterci. Se si sposta lo fa sempre con il “padre-Petrone”, che si vedeva pure dalle parti di Coverciano, quando Baggio venne chiamato in Federazione. La sua biografia l'ha scritta Ivan Zazzaroni, ci ha messo il pepe e il sale, ma il piatto di partenza era decisamente sciapo. E' stato un successo di vendite. Ieri alla Ds, Mario Sconcerti, ha parlato del suo Baggio quasi commosso, ricordando cosa avrebbe potuto fare d'altro se non avesse avuto due ginocchia sempre a pezzi e dolori che gli impedivano di allenarsi fino al mercoledì. Credo nel verbo di Sconcerti, ho provato a unirmi psicologicamente alle celebrazioni, non ce l'ho fatto.

    Baggio ha vinto il Pallone d'Oro, non ha mai vinto la classifica dei marcatori di serie A, neppure quando a Bologna fece 22 gol. Ha vinto due scudetti, una Coppa Italia e una Coppa Uefa. Ha giocato tre Mondiali, è arrivato in finale nell'edizione 1994. Ha sbagliato il rigore decisivo contro il Brasile. Quando l'ho visto triste e solitario davanti al dischetto ho fatto il tifo per lui. Buon compleanno.

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