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  • Izzo, una storia esemplare con l'ombra della camorra. Il precedente di Miccoli e il rischio del carcere

    Izzo, una storia esemplare con l'ombra della camorra. Il precedente di Miccoli e il rischio del carcere

    • Furio Zara
    Condannato a cinque anni di reclusione. Il nome di Armando Izzo - difensore 31enne del Monza - si sposta dalla sezione sportiva a quella della cronaca nera. La condanna che arriva dalla VI sezione penale del Tribunale di Napoli, in effetti, è molto pesante. Frode sportiva e concorso esterno in camorra. Condanna di primo grado, vale la pena ricordarlo. I fatti risalgono a dieci anni fa, quando Izzo militava nell'Avellino, in Serie B, nel campionato 2013-2014. Con Izzo sono stati condannati - per un anno e mezzo - anche il cugino Umberto Accursio, capo del clan della Vinella Grassi di Secondigliano, e Salvatore Russo, ritenuto legato allo stesso clan camorristico. Al centro della vicenda c’è una partita, Modena-Avellino, finita con il risultato di 1-0 per gli emiliani. Secondo la Procura i vertici del clan Vanella Grassi avrebbero corrotto tre giocatori della squadra irpina - Armando Izzo, Francesco Millesi e Luca Pini - in cambio di una somma di denaro.

    Quella di Izzo è una storia che - suo malgrado - è contigua fin dall’inizio a certi ambienti, nel contesto sociale dove la criminalità organizzata accompagna e sfiora molte vite. Nasce a Scampia, scugnizzo di una famiglia assai modesta, primo di quattro fratelli - la mamma l’ha avuto a sedici anni - con il padre “magliaro”, venditore ambulante che gira l’Italia del Sud. A dieci anni - in seguito alla morte del padre, appena 29enne, per malattia - Armando si ritrova capofamiglia. Gli tocca di abbandonare la scuola e lavorare, a salvarlo dalla zona d’ombra sarà il calcio. Entra nelle giovanili del Napoli, lì inizia una bella carriera che lo porta - dopo gli inizi tra Trieste e Avellino - in Serie A, categoria che frequenta ormai da quasi un decennio: un quadriennio con il Genoa, un altro con il Torino (con cui conquista anche la maglia della nazionale: sono tre le presenze, tutte nel 2019), la scorsa estate il passaggio al Monza, club che oggi lo difende con un comunicato dove si dice convinto della totale estraneità dei fatti del giocatore.

    La sua è una storia per certi versi esemplare. E’ partito dal punto più basso che si possa immaginare - in Primavera non aveva nemmeno i soldi per le scarpe da calcio - ed è arrivato ad essere un professionista affermato. La volontà, la tenacia, il sacrificio, l’ambizione, la fame, quella che a Napoli chiamano la “cazzimma”: tutto riassunto nel suo modo di interpretare le partite, come una battaglia continua, senza esclusione di colpi, dea guerriero quale si sente, sempre accompagnato da un angelo custode speciale, il padre, del quale ha il fuso tatuato sul fianco.

    All’epoca dei fatti - ad Avellino - si beccò anche diciotto mesi di squalifica, poi ridotti a sei effettivi. Non ci fosse quest’ombra che lo segue da tempo, quella di Izzo sarebbe - davvero - una storia da film. Lo è ugualmente, in realtà, anche se lui tutto avrebbe voluto fuorché di trovarsi in prima pagina per questioni extracalcistiche. Lo ripetiamo: la condanna è in primo grado, la difesa del giocatore ricorrerà in appello. Ma il rischio del carcere è concreto. Non sarebbe il primo a passare dall’area di rigore alla cella. Fabrizio Miccoli l’anno scorso è tornato in libertà dopo sei mesi di detenzione. L'ex stella di Perugia e Palermo fu condannato in via definitiva a 3 anni e 3 mesi di reclusione con l'accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso, lo stesso di Armando Izzo.

    La regola generale stabilisce che l’imputato giudicato con sentenza definitiva ad una pena inferiore ai 4 anni di reclusione, non faccia subito ingresso in carcere. Nel caso di Miccoli, la condanna era come detto inferiore a anni 4, eppure l’ex calciatore dovette scontare da subito la pena perché nel suo caso non venne applicato l’istituto della sospensione dell’ordine di esecuzione.

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