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  • Coppa al PSG, l'Inter non ha neanche giocato: più che una manita una manata che fa male. Malissimo

    Coppa al PSG, l'Inter non ha neanche giocato: più che una manita una manata che fa male. Malissimo

    • Sandro Sabatini
      Sandro Sabatini
    La Coppa va al Paris Saint-Germain. La vergogna tocca all’Inter. Vergogna limitata a questa partita, sia chiaro: non a tutta l’avventura nerazzurra in Champions League. È stata una finale senza storia. Anzi, sì. Perché purtroppo è storica anche questa sconfitta, epocale per dimensioni tecniche, tattiche e di risultato finale. Hanno giocato solo i francesi, dal minuto uno al 90mo. Una meraviglia di calcio, quello forgiato da Luis Enrique, cui Simone Inzaghi non si è opposto neanche un attimo. L’Inter non ha lottato, non ha giocato. Non sapeva cosa fare. Nemmeno applaudire.

    I protagonisti sono tanti, tutti vestono la maglia bianco-rosso-blu della squadra più forte di Francia e d’Europa. Oltre a Donnarummma e alle altre nostre vecchie conoscenze (maestoso Kvara, delicatissimo Fabian Ruiz, prepotente Hakimi), va menzionato un ragazzino che il 3 giugno compirà vent’anni. E 3 sono state le sue prodezze, spettacolarizzate dalla finale: un assist e due gol. Si chiama Doué, è il giovane che il Paris Saint-Germain ha comprato quest’estate per rimpiazzare Mbappé. Sì, perché il PSG ha vinto la sua personalissima “coppa maledetta” proprio quando il suo giocatore simbolo se n’è andato, peraltro a non vincere al Real Madrid.

    L’elenco degli interisti è invece una rassegna tristissima di delusioni e fallimenti. Sommer sempre impotente, partendo sia dal vantaggio di Hakimi che dal raddoppio di Doué, peraltro con Dimarco “complice” in entrambi i gol (sul primo non fa il fuorigioco, sul secondo difende di spalle toccando e spiazzando il proprio portiere). Sintesi del terzetto difensivo: Pavard limitato per non farsi travolgere da Kvara; posizione esperta e nulla più per Acerbi sempre in balia dei tumultuosi movimenti offensivi parigini; Bastoni un filo più presente e volenteroso. A centrocampo benino, Dumfries almeno per corse e rincorse; Barella più confusionario che propositivo; Calhanoglu e Mkhitaryan in drammatico corto circuito tra Vitinha e Neves; Dimarco prima terrorizzato e infine spaesato. In avanti sufficienza piena per Thuram, autore dell’unico colpo di testa almeno apparente come un’occasione da gol nel primo tempo. Non all’altezza invece Lautaro, copia&incolla della prestazione di Istanbul: sarà per troppa pressione, ma un’altra finale indefinibile se non con “opaca”, aggettivo in verità fin troppo rispettoso nei suoi confronti.

    Nel secondo tempo, doppia sostituzione all’inusuale minuto 53 (perché non all’intervallo oppure dopo un’ora?). Bisseck goffamente infortunato dopo un attimo, Darmian volenteroso senza evitare di restare anche lui travolto, Zalewski meno ansioso di Dimarco ma quasi impalpabile anche da vice-Mhkitaryan e poi Carlo Augusto senza arte né parte nella disfatta e infine Asllani a certificare la peggior prestazione della storia interista per Calhanoglu.

    Simone Inzaghi si congeda con una batosta che non cancella le grandi notti vissute contro Bayern Monaco e Barcellona. Ma resta comunque una disfatta epocale per la storia dell’Inter, e non solo di questa stagione che poteva essere quella di un altro Triplete, come nel 2010 con Mourinho. Invece è stata da “zero titoli”. E cinque a zero in finale. Più che una “manita”, come si dice in gergo, una vera e propria manata che fa male. Malissimo
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