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  • Sconcerti a CM: 'Com'è nata l'amicizia con Gianni Mura, mi sfidava a elencare i calciatori'

    Sconcerti a CM: 'Com'è nata l'amicizia con Gianni Mura, mi sfidava a elencare i calciatori'

    • Furio Zara
    Mario Sconcerti è il giornalista che ha fondato il calcio a Repubblica. Con Gianni Mura - scomparso oggi - ha condiviso tanta strada e tanti sogni. 

    Sconcerti, raccontaci di come hai portato Gianni Mura a Repubblica. 
    "Ero a capo dello sport di Repubblica, ma lo sport ancora non c'era, insomma, stavamo creando un piccolo mondo. Ero un umile cronista sportivo, lui era già Gianni Mura. Ora ti racconto, ma prima: lo sai come è entrato in Gazzetta?". 

    Segnalato da una compagna di classe al liceo. 
    "La figlia della contessa Bonacossa. Suo padre era amministratore delegato della Gazzetta, chiese alla figlia: chi è il più bravo a scrivere in classe tua? Era Gianni, aveva appena 19 anni". 

    Ci stavi raccontando di come hai portato Mura a Repubblica. 
    "Successe una cosa incredibile. Ci conoscevamo, ci stimavamo, ma non eravamo amici, non ci frequentavamo all'epoca. Era la fine del 1979 o i primi mesi del 1980, lui mi telefonò e mi disse: ho dato le dimissioni dall'Occhio. E io gli dissi: fermo lì. Non credo di poterti assumere, ma ci provo. Non toccava a me decidere, ma non volevo perdere l'occasione". 

    Perché chiamò te? 
    "Mi chiamò perché a Repubblica stava nascendo un modo diverso di fare sport. Ci inventammo questa cosa un po' gaglioffa: lui fece due anni di indennità di disoccupazione, io aggiunsi un milione e mezzo di lire dal borderò del settore che dirigevo. Andai dal direttore di Repubblica Eugenio Scalfari. Gli dissi: ho fatto un grosso colpo, ma non ti posso spiegare di più. Scalfari mi guardò e mi disse: non ne voglio sapere, fai tu". 

    Cosa accadde? 
    "Che cominciò a collaborare. Ero sicuro che appena l'avessero cominciato a leggere i capi mi avrebbero chiesto: ma chi è? Andò così, ma ancora non si parlava di contratto. Nel 1982 Gianni andò a fare i Mondiali di Spagna ed era ancora un collaboratore, poi sulla scia del Mondiale vinto lo sport si era affermato dentro Repubblica e fu automatico assumere. Però c'era il problema del grado. Non puoi prendere uno che collabora e farlo subito inviato, eppure ce la facemmo. All'epoca di quando dirigevo lo sport a Repubblica con me c'erano Brera, Mura, la Audisio, Fossati. Avevo solo 34 anni. Cercavo la qualità. Lì è nata l'amicizia. Abbiamo sempre avuto un connubio fisico. Due persone e due mondi diversi che si sono incontrati, curiosi l'uno dell'altro". 

    Qual è la qualità maggiore del Mura giornalista? 
    "Era un raccontatore puro. Non cerceva le parole, ma le parole cercavano lui. Con le parole aveva un rapporto ai limiti della patologia. Impazziva per gli anagrammi. Ti sfidava a elencare tutti i giocatori con la S o con la A. Io non gli stavo dietro, ma era un mondo che non era il mio e capivo che era fondamentale conoscerlo". 

    Cosa ti resta di lui? 
    "Era un uomo onesto e corretto, non ho mai discusso con lui, mai. Pensa che quando ero alla Gazzetta e sembrava che potessi diventare direttore, era l'87 credo, gli volli parlare. Gli dissi: Gianni, io mi sono fatto il mio organigramma. Io sto dentro a pensare a ideare il giornale, tu vai in giro per il mondo a raccontare. Devi sapere che la Gazzetta ha sempre avuto una prima grande penna del ciclismo, il ciclismo è strada, piazze, paesi, il ciclismo è racconto e credo che questo era quello che lui sapeva fare meglio". 

    Spiegaci. 
    "Non era precisamente un tecnico, poi è chiaro, uno bravo impara l'uso di qualunque cosa. Era un rcacontatore: Gianni aveva bisogno di facce e di destini. Era un cacciatore di dettagli. E i dettagli erano ovunque. Nei paesaggi, negli sguardi, nei piatti che mangiava". 

    Era un grande appassionato di cucina. 
    "Certo, e poi riportava tutto nei pezzi. A tavola rompeva i coglioni sull'erba aromatica o su quell'altra pietanza, era capace di tenere il cameriere lì accanto per un quarto d'ora a spiegargli i piatti". 

    Molti l'hanno paragonato a Gianni Brera. 
    "E' sciocco cercare un paragone con Brera. E' sciocco dover sempre ricorrere a un paragone. E' più grande Manzoni o Alighieri? E' ora che lo sport capisca che non ha bisogno di un solo maestro, ma di tanti, e tutti diversi. Gianni era arguto, colto, ma anche estremamente popolare. Non c'erano pezzi di Mura che non capivi. Brera sei volte su dieci non lo capivi, ma era lui che non voleva farsi capire da tutti, la riteneva una sorta di selezione naturale". 

    Se chiudi gli occhi qual è il suo pezzo che ti viene in mente per primo? 
    "I Sette giorni di cattivi pensieri". 

    L'idea della rubrica è nata da te, vero? 
    "Sì, ormai 37-38 anni fa. Capii che i suoi giudizi fulminanti andavano messi insieme e quindi gli dissi: ti faccio fare una cosa che ti farà diventare popolare per i prossimi vent'anni. Gianni, quando la rubrica festeggiò i vent'anni, scrisse: 'Come disse il suo inventore - Mario Sconcerti - io sono diventato Sette giorni di cattivi pensieri'". 

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