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Balotelli non è mai cresciuto, non merita la Nazionale! Mancini non è caduto nella trappola di Gravina

Balotelli non è mai cresciuto, non merita la Nazionale! Mancini non è caduto nella trappola di Gravina

  • Alberto Cerruti
    Alberto Cerruti
Sarebbe troppo facile parlare della sospensione trimestrale della sua patente in Svizzera. E sarebbe ancora più facile parlare della sua battaglia per combattere il razzismo, dentro e fuori gli stadi italiani. Ma siccome Mario Balotelli è un professionista del pallone, vogliamo giudicarlo soltanto come tale, evitando di entrare nella sua vita privata e più in generale evitando di commentare tutto ciò che non è strettamente legato al calcio, anche se per lui è importante. E allora partiamo dalla coraggiosa decisione di Roberto Mancini, che dopo averlo coccolato fin troppo non è caduto nella trappola mediatica preparatagli involontariamente dal presidente federale Gravina. In Nazionale, infatti, si va per meriti tecnici, non per diventare i simboli di battaglie extra-calcistiche da vincere dentro e fuori gli stadi.

Balotelli è al Brescia dall’inizio della stagione dove ha avuto tutto il tempo per prepararsi al meglio, in generale per aiutare la squadra neopromossa a rimanere in Serie A e in particolare per tornare in Nazionale nell’anno degli Europei. Il campo, che è l’unico giudice per tutti, ha detto che Balotelli ha segnato due gol, entrambi ininfluenti perché non sono bastati per evitare le sconfitte del Brescia contro il Napoli e il Verona. Ma soprattutto, al di là dei numeri che dicono tanto ma non spiegano mai abbastanza, Balotelli ha dimostrato di non meritare la convocazione di Mancini, anche perché dopo le iniziali perplessità di Corini anche il suo sostituto Grosso, all’esordio sulla panchina del Brescia, lo ha sostituito dopo il suo svogliato primo tempo contro il Torino. “Deve sacrificarsi di più”, questo in sintesi il pensiero dei suoi due ultimi allenatori che confermano quanto Balotelli (non) ha fatto da quando ha esordito in Serie A, proprio con Mancini. Era il 2008 e ricordiamo una delle sue prime partite a Bergamo contro l’Atalanta, in un pomeriggio di aprile. Non lo avevamo mai visto dal vivo e ci impressionò subito la sua facilità di tirare da fuori area, di battere le punizioni e i calci d’angolo. Grazie anche a lui e soprattutto al suo compagno Ibrahimovic, l’Inter vinse lo scudetto all’ultima giornata a Parma e anche noi, come tutti, pensavamo che Balotelli sarebbe stato destinato a una grande carriera nell’Inter.

A undici anni di distanza, dopo aver giocato in tre campionati (Italia, Inghilterra e Francia) con sei squadre (Inter, Manchester City, Milan, Liverpool, Nizza e Marsiglia) Balotelli a Brescia sta confermando di non essere cresciuto, né tecnicamente, né tatticamente, né caratterialmente, anche se il prossimo 12 agosto compirà 30 anni. Giustamente scartato da Lippi per il mondiale 2010, già allora per la sua immaturità calcistica, Balotelli vive di rendita sulla doppietta realizzata contro la Germania a Euro 2012, l’eccezione e non la regola in una carriera in cui non ha mai mantenuto le tante promesse, deludendo regolarmente chi a turno gli ha dato fiducia, contando sul fatto che stesse per salire sul cosiddetto “ultimo treno”. I fatti, purtroppo, stanno giustificando la nostra ormai vecchia definizione, secondo la quale Balotelli è un calciatore, nel senso etimologico del termine, perché calcia benissimo da fermo, ma non è un giocatore perché non gioca per la squadra, preferendo gli spunti personali. E proprio questa sua incapacità di partecipare al gioco dei tanti compagni che ha avuto lo ha regolarmente limitato.

Per non parlare dell’abbonamento ai cartellini gialli e rossi che gli hanno fruttato un’infinità di squalifiche, l’ultima delle quali alla fine del campionato con il Marsiglia, che gli ha permesso di debuttare con il Brescia soltanto alla quinta giornata contro la Juventus.  E allora se Balotelli è sempre lo stesso, più Mario che Supermario, più talento che campione, richiamato in panchina persino nel Brescia, si può capire perché Mancini ha fatto bene a rimandare la sua convocazione. E se lo ha deciso lui che lo aveva sempre difeso, l’unica maglia azzurra che gli rimane è quella del Brescia. Ammesso che ritrovi un posto almeno lì.

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