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  • Donnarumma, qualcosa che non c'è più
Donnarumma, qualcosa che non c'è più

Donnarumma, qualcosa che non c'è più

  • Federico Zanon
Se ne è andato, senza salutare. Ha detto addio, da lontano, dalla Polonia, da uno stanza del ritiro della Nazionale under 21 a Cracovia, con la quale domenica inizierà l'Europeo di categoria. L'ha fatto fissando il telefono, in silenzio, delegando e aspettando una telefonata dei suoi agenti, Enzo e Mino Raiola, uno degli uomini più potenti dell'industria del pallone, diventato in 10 minuti il Mr Nasty del popolo rossonero. Donnarumma lascia il Milan, la decisione è stata presa. Non importa se lo farà ufficialmente quest'estate o tra un anno, quando gli scadrà il contratto, il breve summit di Casa Milan ha messo fine una favola. O quella che aveva tutto per esserlo. 

Una storia durata quattro anni, intensa, vibrante, emozionante, nella quale non sono mancati i colpi di scena. Fin dall'inizio, dallo 'scippo' di Galliani, su segnalazione di Bianchessi, all'Inter, dal viaggio in macchina a da Napoli a Milano con il telefono spento, a rendere inutili le chiamate di Samaden, responsabile del settore giovanile nerazzurro. Gigio voleva il Milan, voleva vestire la maglia rossonera più di ogni altra cosa. Era il suo desiderio più grande, il sogno nel cassetto. Il Milan l'ha accolto, con il Milan è diventato grande. Insieme, mano nella mano sono cresciuti. Ha fatto passi da gigante, ha esordito in Serie A a 16 anni, si è preso la maglia da titolare, è diventato uno dei migliori cinque portieri al mondo. E soprattutto ha conquistato il cuore di milioni di tifosi rossoneri. Con la sua faccia da bravo ragazzo e le gesta dei più grandi. Una sicurezza, dentro e fuori dal campo, che si è sgretolata in un caldo pomeriggio di giugno.

Donnarumma lascia il Milan, il motivo ora non ha importanza. Non cercheremo di capire il perché, non ci interessano le spiegazioni, non tocca a noi puntare il dito contro qualcuno. Sarà il diretto interessato, prima o poi, a dire tutto. In queste ore si è scritto e letto ogni tipo di commento, di retroscena, di giustificazione. Dai difficili rapporti tra Raiola e Mirabelli fino (addirittura) all'ultimo favore dell'indelicato agente italo-olandese a Galliani, passando per esose richieste economiche o per un progetto, quello del nuovo corso rossonero, secondo Raiola scadente e senza fondamenta. Ognuno può farsi l'idea che vuole. Non sta a noi decidere se Donnarumma sia ingrato, traditore, se abbia fatto bene a scegliere i soldi e le ambizioni di una big d'Europa. Che vada al Real Madrid o al Paris Saint-Germain chissenefrega. Il suo addio è una sconfitta. Una nostra sconfitta. Per noi ingenui, per noi romantici, per noi che diamo importanza alla maglia che ogni giocatore indossa. Per noi che il 28 maggio eravamo all'Olimpico o davanti alla televisione, ad emozionarci, con gli occhi gonfi, per l'addio di Totti. Per noi che crediamo ancora, stupidamente, al concetto di bandiera, alla scelta di un giocatore di immedesimarsi in un popolo, all'idea di considerare la maglia da gioco una seconda pelle. Noi siamo quelli degli Antognoni, dei Maldini, dei Giggs, dei Totti, dei Zanetti, dei Gerrard, dei Xavi. Quelli che faticano ad accettare le leggi del Dio denaro, quelli che danno ancora peso al bacio di uno stemma. Stupidi sognatori, che danno ancora valore ai sentimenti.

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