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Juventus campione: il peso e i dubbi di di Conte

Juventus campione: il peso e i dubbi di di Conte

Dopo lo scudetto il prossimo obiettivo è l’Europa, ma resta l’incognita sul futuro del tecnico.
Juve: il peso di Conte e i suoi dubbi.
Il suono dei clacson e le urla che hanno accompagnato il pullman scoperto della Juve nel suo giro trionfale in città non sono bastati a coprire il rumore delle parole di Conte. «Io voglio vincere la Champions League. Preferirei riuscirci con la Juve ma il mio obiettivo è vincerla», ha detto subito dopo il successo per 1-0 sul Palermo che non resterà negli annali per la qualità del gioco ma che ha inquadrato lo scudetto nell’albo d’oro del club. Non c’è chi non abbia colto la sfumatura. Conte ha concesso alla Juventus una prelazione affettiva e anche di contratto, dal momento che vi è vincolato per altre due stagioni, però la sua non è una fedeltà incondizionata e inossidabile: dipende da quanto la Juve farà per accompagnarlo verso il traguardo che si è posto per la prossima stagione. Nella festa si è inserita dunque questa pulce all’orecchio dei dirigenti e dei tifosi bianconeri che, come noi, avevano accolto le recenti esternazioni di Conte come lo sfogo umorale di un uomo che si macera nel fare molto bene il proprio lavoro e chiede più attenzione. La sensazione è cambiata. Non abbiamo la certezza che se ne andrà, abbiamo però la convinzione che sia diventata un’eventualità da considerare. Se così fosse il tour trionfale di ieri sera avrebbe meno probabilità di ripetersi tra un anno perché in pochi risultati c’è il peso di un allenatore come nei 2 scudetti che la Juve ha vinto con Conte.

È una situazione cui non si era preparati. Il paragone più immediato è Jose Mourinho quando lasciò l’Inter dopo il Triplete, anzi i nerazzurri stavano ancora festeggiando la vittoria in Champions League al «Bernabeu» che lui saliva sull’auto del presidente del Real Madrid, Florentino Perez. Anche allora c’erano di mezzo una festa e un pullman. Fu un divorzio annunciato. Mourinho aveva capito che l’Inter era un’arancia spremuta e che non avrebbe più potuto ripetersi: lo chiamavano i soldi, le possibilità di mercato e anche la sfida che l’attendeva a Madrid per diventare l’anti-Barcellona in Spagna e in Europa. S’è visto com’è finita. Per Mourinho e soprattutto per l’Inter.

Il caso di Conte è un po’ diverso. Non c’è una sirena precisa ad allettarlo con offerte principesche: ad occhio potrebbe starci il Paris St Germain ma per il momento sembra più un’idea giornalistica che un discorso avviato. E poi da Parigi vogliono scappare tutti: Ancelotti, Ibrahimovic, Lavezzi, Verratti, persino Leonardo. Come spiegare la fuga, se il Psg fosse il paradiso finanziato dagli arabi di cui si favoleggia? Altra differenza, rispetto all’Inter di Mou: la Juve di Conte non ha ancora vinto tutto quello che poteva vincere, si trova all’inizio di un progetto e non alla fine, quindi ne resterebbero di cose da fare.

Nel giorno in cui ha bissato lo scudetto, che non è mai facile in Italia, il tecnico leccese ha però chiarito che a questa squadra non si può chiedere più di quanto ha dato con molta dedizione e molta fatica. La Juve, nel suo pensiero, non è un’arancia spremuta ma una buona rapa da cui non si cava sangue diverso, per restare nel ramo ortofrutticolo: potrà ancora ripetersi in Italia con qualche aggiustamento, se l’obiettivo invece è vincere in Europa serve qualcosa di meglio. «Sono andato di persona a vedere due semifinali di Champions per capire cosa serve per arrivare lì», ha detto Conte. La diagnosi non l’ha lasciato tranquillo. Nei prossimi giorni il tecnico ne parlerà con la Juve. Non sappiamo cosa potrà fare la società per rassicurarlo e ancor meno se lui prenderà le valigie di fronte all’ammissione quasi scontata che non ci sono i soldi e forse neppure la volontà strategica per impegnarsi in grandi acquisti. Certo la festa ha convissuto con quest’ombra dopo una partita senza fremiti. Un campionato dominato a quel modo meritava forse un epilogo più entusiasmante che l’1-0, 8ª vittoria consecutiva, frutto di un rigore generosissimo (spintina di Donati a Vucinic), con poche azioni da gol e con l’espulsione di Pogba, per uno sputo, che non è il massimo dell’eleganza per chiunque, tanto meno per un ragazzo talentuoso che si sta formando al grande calcio. Comunque la Juve ha giocato da squadra che non vuole avere sorprese e il Palermo, tranne per il palo di Miccoli, non gliene ha date. Poi via in pullman tra la gente. Dicono che ce ne fosse meno di un anno fa. Non ce ne stupiremmo: il popolo juventino bramava rimuovere le stagioni cupe del dopo Calciopoli, la vergogna dei settimi posti italiani e delle figuracce europee più che della discesa in B. Il primo scudetto è stata una liberazione esplosiva, il secondo è già una bellissima abitudine, il terzo sarebbe quasi una doverosa conferma. Ed è forse di questo che Conte ha più paura.


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