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  • Montella, lascia! La Samp è su Maran

    Montella, lascia! La Samp è su Maran

    • Marco Bernardini
    Consentitemi una battuta “idiota” da liceale d’antan. “Repetita Juventus”. Ci sta bene in calce alla festa bianconera che, domani all’ora il cui i tori tentano perlopiù vanamente di sopravvivere nell’arena, verrà celebrata all’interno dello “Stadium” torinese per onorare adeguatamente “la quinta” sinfonia della Signora. Una “corrida” dall’esito scontato con la Sampdoria che, verosimilmente e salvo eventi paranormali, dovrà adattarsi al ruolo della vittima sacrificale. Mica per niente, viste come son andate le cose a Verona e preso atto dell’incazzatura solenne di Allegri, alla Juventus non resterà che vincere. Esattamente come alla fine della stagione passata, con l’identico copione conclusivo salvo che si giocava a Marassi. Quel giorno ai bianconeri sarebbe basato anche un pareggio per laurearsi campione d’Italia. Ci pensò Vidal a fare il pieno.

    Francamente e personalmente il fatto che debba essere la squadra doriana a sottoscrivrere in prima persona il nuovo trionfo di questi “nuovi imbattitibili” della storia calcistica non è che mi faccia godere più di tanto. Della simpatia che provo per la squadra genovese e per l’ammirazione rispetto al suo popolo tifoso ho già avuto modo di dire proprio dopo la partita del girone di andata. A questo debbo aggiungere gli appunti almeno di un intero block notes riferiti ad un passato ricco di ricordi belli e meno belli ma comunque indelebili che, della sfida, provvedono a comporre un  autentico romanzo. Il primo che mi viene in mente risale a parecchio tempo fa. Quarantacinque anni, se non ricordo male. La Samp era allenata da un autentico signore che si chiamava Fulvio Bernardini (mi piacerebbe, ma non è un mio parente) che poteva contare su giocatori di valore come Battara, Lodetti, Salvi, Lippi e Suarez. La Juve era quella di Zoff, Furino, Anastasi, Capello, Bettega, Haller e Causio insomma pezzi da novanta. Ma, soprattutto, in panchina fortemente voluto da Giampiero Boniperti era seduto l’uomo della “grande scommessa” per il calcio italiano: Armando Picchi. Per lui si prefigurava un futuro luminoso come tecnico, dopo quello consumato come campione nell’Inter. Troppo luminoso. Inghiottito dalla luce dell’infinito e strappato alla vita dopo i primi applausi. Morì sei mesi dopo quella partita (tra l’altro vinta dalla Samp) per tumore ai polmoni. Aveva trentacinque anni. Fu così che alla Juve arrivò il Trap.

    Tra le tante sfide epiche consumate “tete a tete” dalla Juventus e dal Doria, mi è piaciuto scrivere di questa non solo per poter ricordare la figura di un uomo davvero molto sfortunato come il livornese Armando Picchi, ma anche perché la citazione di autentico signore come Fulvio Bernardini dovrebbe portare a utili e riflessioni su chi, nel corso di questa stagione, ha avuto tecnicamente e psicologicamente la Sampdoria nelle sue mani. Dico, naturalmente, di Montella che in quanto ad “aereoplanino” è rimasto nell’hangar anziché volare insegnando ai suoi ragazzi come si fa. Io non ho certo il diritto di giudicare il tecnico in base alle sue qualità professionali vere o presunte. Ho il dovere, però, di attenermi ai fatti realizzando che i conti non tornano. Meriti e demeriti, quando si tratta di stilare un bilancio, vanno distribuiti con onestà intellettuale. Montella, al netto di accadimenti e di imprevisti, ha il dovere di assumersi una percentuale considerevole di responsabilità se non è riuscito a portare a compimento quella che con Zenga sembrava dover essere l’incompiuta doriana. Accolto come un giovane “mago Merlino” in grado di compiere prodigi, strada facendo il tecnico si è rivelato un allenatore “normale” e comunque “diverso” da quello era stato dipinto con eccessiva disinvoltura.

    Andare, ora, alla ricerca del come e del perché il “sogno” non si sia realizzato sarebbe tempo perso. Dopo la partita di domani, la Samp dovrà pensare subito al futuro. E Montella anche. Certamente sono lontani i tempi in cui alla guida della società c’era Paolo Mantovani affiancato dall’indimenticabile Borea quali faceva da terminale il grande Boskov. Oggi c’è Ferrero che, come stile, è l’altra faccia della luna rispetto al presidente galantuomo. Ma non per passione e per amore dei colori blucerchiati. A lui si deve chiedere di smettere i panni e gli atteggiamenti sicuramente genuini ma troppo naif per un mondo, come quello del calcio, ingessato e serioso. Meno scene buone per il cinema, più credibilità di immagine. Ferrero, tra l’altro, ha la fortuna di avere accanto a sé due collaboratori di prima scelta. Il direttore Carlo Osti e il responsabile delle relazioni esterne Paolo Viganò i quali oltre che per competenza rappresentano garanzia di valore aggiunto in quanto a onestà intellettuale e pratica. Insieme sapranno mischiare le carte, tagliare e aggiungere per ridare alla gente doriana una squadra più ragionata. Ma c’è Montella che, a orecchio, sembra essere la nota stonata.

    Ripeto, al di là di torti o ragioni sempre molto soggettive, il problema esiste ed è urgente. Il tecnico napoletano ha un contratto anche per la prossima stagione. La società, ragionevolmente, sta cercando alternative valide (Maran o Prandelli se ancora non avesse firmato per l’Atalanta). Il mister, come un pistard in surplace, fa la bella statuina. La fotocopia della passata stagione a Firenze. Ma Ferrero, al contrario dei Della Valle, non si può permettere di ingaggiare un altro allenatore avendone già uno a contratto. E allora se è vero che Montella ama il blucerchiato, come ha sempre detto, dimostri di possedere quel minimo di signorilità che aveva il “dottor Fulvio”. Liberi la Samp dalla condizione di ostaggio. Magari già domani sera, dopo la corrida.

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