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Redbird ha ragione, Maldini non ha diritto all'extrabudget: vi spiego il perché

Redbird ha ragione, Maldini non ha diritto all'extrabudget: vi spiego il perché

  • Andrea Distaso
    Andrea Distaso
Niente extrabudget. E' il nuovo calcio, bellezza. E per bellezza ci riferiamo a Paolo Maldini, che in queste complicate settimane per il suo Milan sperava (diciamo pure spera, finché c'è speranza) di riaccendere la scintilla con un colpo di mercato last minute come Nicolò Zaniolo. Un'opportunità (a certe condizioni), un sogno, ma poi ci sono i fatti e la dura realtà: fatta di numeri incontrovertibili, di fronte ai quali nessun dirigente di un club italiano oggi può opporsi. Nessuno ha investito in estate come la società campione d'Italia - tra i 45 e i 50 milioni di euro - senza cedere nessuna delle sue pedine pregiate e nessuna tre le big in Serie A vanta una rosa extralarge come quella rossonera. Con 32 calciatori nell'organico di Stefano Pioli e una resa ad oggi palesemente al di sotto delle aspettative da parte degli acquisti dell'estate, come poteva essere ragionevole immaginare che dalla proprietà arrivasse luce verde per una nuova operazione in entrata nell'ordine - nella migliore delle ipotesi - di 20 milioni di euro?

E' abbastanza strano, per non dire paradossale, parlare del Milan attuale come di una squadra protagonista di una serie di equivoci interni che rischiano di alimentare un vero e proprio cortocircuito se non si saprà individuare per tempo le criticità e correggere la rotta. Un club divenuto soprattutto nell'ultimo biennio un modello in campo e a livello gestionale per effetto di una politica sul mercato diametralmente opposta alle logiche del nostro calcio. O almeno di quello di una volta, quando di soldi ne giravano molti di più. Oggi che le riserve auree sono terminate, bisogna sapersi reinventare per sopravvivere: acquistare a poco per rivendere a molto, innescando meccanismi virtuosi che consentono di restare a galla e competitivi anche di fronte all'impossibilità di riproporsi nell'immediato a certi livelli in Europa. Lì si fa un altro sport, ma questo non può essere l'alibi per continuare ad agire secondo vecchie dinamiche, nemmeno troppo efficaci per i tempi che corrono. E che Paolo Maldini, l'uomo delle intuizioni (insieme a chi lo ha accompagnato nel suo percorso di dirigente) Theo Hernandez, Maignan, Leao e Kalulu ma anche di svarioni come Laxalt, Bakayoko Mandzukic od Origi, oggi si riscopra non propriamente in linea coi dettami di una nuova proprietà che non discosta molto da quella vecchia fa riflettere.

Sono i fatti, sono i numeri, a dirci che tra De Ketelaere, Thiaw, Dest, Adli, Vranckx e Origi ad oggi nessuno di loro possa considerarsi un inserimento azzeccato. Almeno nell'immediato, visto che per una squadra che avviava la stagione con lo scudetto sul petto il presente avrebbe dovuto avere un peso diverso rispetto alla prospettiva. Anche perché la famosa intervista di Maldini del maggio scorso alla Gazzetta dello Sport andava proprio in questo senso, salvo poi incassare - insieme al rinnovo di contratto - l'ennesimo "no" dalla proprietà americana a colpi da vecchio Milan, non in linea coi nuovi parametri finanziari ed in osservanza a quanto concordato con la Uefa pure nel settlement agreement. Tutto poi diventa più complicato se da responsabile dell'area tecnica la capacità di fare cassa attraverso le cessioni continua ad essere un evidente tallone d'Achille. Il calcio di oggi impone logiche alle quali non si può sfuggire e che, per esempio, contraddistinguono l'ottimo cammino del Napoli capolista: partiti molti pezzi da novanta dello spogliatoio, è stato possibile finanziare quegli acquisti che oggi fanno volare la squadra di Spalletti. E' tempo di adeguarsi per restare al passo con l'attualità e non dilapidare in pochi mesi il patrimonio di conoscenze e di insegnamenti raccolti in un triennio di ottimo lavoro. Maldini è avvisato.

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