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  • Il trasformista Allegri non cambia più, ma alla Juve manca sempre qualcosa

    Il trasformista Allegri non cambia più, ma alla Juve manca sempre qualcosa

    • Giancarlo Padovan
    Manca poco alla Juve per vincere lo scudetto, ma le manca ancora qualcosa. Non nel gioco o nella capacità dei suoi interpreti (4-0 al Genoa, più tre legni, dominio assoluto, grandi sprazzi di spettacolo), ma nell’esaurire le necessità del calendario: venerdì va a Bergamo, dove l’aspetta l’Atalanta, quinta in classifica. La settimana successiva attende il Torino per un derby casalingo, la terz’ultima raggiungerà Roma, sponda giallorossa, in uno scontro capitale.
     
    Siccome anche Allegri fa di conto, la Juve potrebbe perfino permettersi di perdere due partite su tre e mantenere comunque quel vantaggio sufficiente a farle tagliare il traguardo davanti a tutti. Ragionamento ineccepibile, ma che non mi convince fino in fondo. Intanto perché nel calcio non mi piacciono i calcoli. In secondo luogo perché la Juve di questa settimana non ha bisogno di farne. Se, infatti, a Barcellona ha costruito una partita eminentemente difensiva senza correre rischio alcuno, contro il Genoa ha sciorinato calcio di qualità, giocate brillanti, impegno e corsa, generosità e organizzazione.

    Partiamo da questa. Allegri ha cambiato uomini, ma non sistema di gioco. E per un allenatore, celebrato giovedì come un trasformista, mi sembra un considerevole passo in avanti. Il 4-2-3-1 questa volta è stato modellato con Barzagli a destra e Asamoah a sinistra, Bonucci e Benatia in mezzo. I due di centrocampo erano Marchisio e Khedira; il tridente dietro Higuain formato da Lichtsteiner, Dybala e Mandzukic. L’organizzazione è fondamentale in una squadra. E Allegri, dopo Firenze, ha deciso che sul sistema di gioco non avrebbe più derogato. Ancora: può cambiare gli uomini della difesa e del centrocampo, ma Higuain, Dybala e Mandzukic vanno sempre in campo, sorretti, tra l’altro, da una condizione fisico-atletica straordinaria. 

    Il punto, casomai, è mantenere questo stato di grazia per le due semifinali di Champions (e, magari, anche di più) continuando ad avere un’armonia di spogliatoio invidiabile. Per quanto conosco i calciatori so che perdere - anche le due partite che la Juve potrebbe permettersi - non è mai positivo. Anzi, in una fase come questa di grande entusiasmo, finirebbero per togliere sicurezze e per inibire le capacità. La Juve attuale è un mantice. Soffia e spazza ogni avversario. Per eliminare il Genoa (che all’andata le aveva inflitto un doloroso 3-1) ci ha impiegato un paio di minuti, quelli che vanno dal 17’ (autorete di Munoz) al 18’ (sinistro di Dybala). In entrambe le circostanze, pregevoli i movimenti verticali di Marchisio (azionato da un assist fuori area di Higuain) e quelli orizzontali di Dybala assistito dallo stesso Higuain e da Khedira.

    Questa volta, però, al contrario che nel passato, la Juve ha solo rifiatato senza smettere di giocare per conservare il vantaggio. Merito di una squadra che, grazie ad Allegri, si diverte a cercare il gol attraverso l’azione manovrata. Certo, il Genoa non è il Barcellona, questa volta non c’è stato né da soffrire, né da ringhiare per preservare la porta (dove c’era Neto e non Buffon). E tuttavia è stato un piacere constatare che Mandzukic continua a divorare la fascia sinistra con una voracità assoluta e contemporaneamente riscoprire che non ha smarrito il senso del gol. Al 40’ è arrivato il terzo, firmato dal croato, con un interno destro, dopo cross respinto da sinistra, di rara bellezza.

    Nella ripresa la Juve ha continuato a far calcio. Gol annullato a Bonucci all’8’ (non c’era il fallo fischiato in mezzo all’area, ma il fuorigioco del difensore che l’arbitro non vede), gol buono dello stesso Bonucci al 18’ (indisturbata azione personale da metà campo e conclusione che scavalca Lamanna), traversa di Marchisio, palo di Higuain sulla ribattuta, palo esterno di Asamoah nel finale. Una rapsodia di occasioni per nulla casuali. Nel finale esordio in serie A di Mandragora (al posto di Marchisio) che ha doti da grande centrocampista. Ha perso un anno per infortunio, ma il suo talento resta intatto.

    @gia_pad

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