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    Inter, Triplete o zero tituli? Comunque vada, è una grandissima stagione

    Inter, Triplete o zero tituli? Comunque vada, è una grandissima stagione

    La sconfitta di Bologna ha riaperto attorno all'Inter antiche discussioni – del genere se sia nato prima l'uovo o la gallina – orientate da quello che sarà l'epilogo di una stagione comunque senza precedenti. Dopo aver toccato il traguardo delle 50 partite, che da qui a fine maggio può spingersi fino a quota 60 (escludendo il Mondiale per club), la squadra di Inzaghi rimane in corsa per conquistare tutti i più importanti titoli per i quali compete. La capacità di andare oltre una stanchezza fisica, ma soprattutto mentale - assolutamente fisiologica e conseguenza di un calendario sempre più fuori controllo – ha mascherato i limiti di un organico nel quale il valore delle seconde linee non è lo stesso dei titolari.

    Eppure, il mondo dello sport e quindi quello del calcio si dividono tuttora sul trattamento da riservare ad un atleta – o ad una squadra – che dimostri l'abilità di spingersi sino ad un passo dal traguardo per poi mancare l'obiettivo per una questione di dettagli. Unanimemente, l'Inter ha ricevuto sino ad oggi il giusto riconoscimento per essere arrivata, ad aprile inoltrata, con le possibilità intatte di mettere le mani sul suo ventunesimo Scudetto, sulla sua quarta Champions League e sulla sua decima Coppa Italia. Ma, qualora non dovesse riuscire nell'impresa di concludere l'annata con almeno uno di questi trofei o, per essere ancora più precisi, non fosse in grado di assicurarsi almeno una competizione tra il campionato di Serie A e la principale coppa europea per club, cosa si direbbe del lavoro di Simone Inzaghi e dei suoi calciatori?

    In un contesto molto particolare come quello italiano, probabilmente la risposta sarebbe già scritta senza nemmeno la necessità di raccogliere un sondaggio per avere un quadro di come la pensi un campione dei tifosi: essendo il nostro un Paese tradizionalmente risultatista, appare scontato che la prospettiva di arrivare secondi verrebbe vissuta come un fallimento. Perché da noi spesso e volentieri la considerazione finale è sempre legata al titolo in bacheca, non tenendo presente il percorso fatto per arrivare sino a quel punto e il come. Certo, ragionando sui fatti, uno sarebbe incontrovertibile: qualora Inzaghi chiudesse questa stagione senza squilli, il suo primo quedriennio verrebbe archiviato con la conquista di un solo Scudetto (quello della seconda stella) e almeno una finale di Champions League.

    Poi però, oltre ai fatti e ai trofei, ci sono altre considerazioni da fare e l'analisi non può arrestarsi solo all'episodio, all'eventualità che il risultato di una partita possa essere determinato da dettagli o da circostanze condizionate da fattori anche imponderabili o non controllabili al cento per cento. Personalmente, ritengo che la stagione dell'Inter sia stata grandiosa sino a questo punto e che tale rimarrebbe anche nel caso in cui le vittorie sfumassero per un niente. Questa stagione 2024/2025 è stato il primo vero esperimento della direzione intrapresa dal calcio moderno e dalla scelta di sfruttare fino all'ultimo slot disponibile un calendario sempre più assecondato alle esigenze televisive. Con ciò che ne consegue in termini di brillantezza atletica e di resa prestazionale dei giocatori.

    Se nemmeno i club economicamente più attrezzati e con maggiori possibilità di allestire rose profonde e iper-competitive possono far fronte alla fisiologica sequenza di infortuni ai quali i propri atleti sono soggetti – e che finiscono per avere una diretta conseguenza sull'esito di certe partite, soprattutto in questa particolare fase della stagione – come si può pensare che questa Inter, nella quale alcuni calciatori sono più uguali degli altri, possa essere sempre brillante allo stesso modo? Inzaghi ha dimostrato di essere cresciuto negli ultimi mesi nella gestione di un organico in cui il dislivello tra alcuni titolari e i loro alter-ego è piuttosto ampio, ma il dispendio di energie fisico e psicologico che comporta il giocare ogni tre giorni una partita da dentro e fuori rimane molto alto. Andrebbe considerato tutto ciò, ma in Italia fa sempre più comodo dividere e dividersi su qualsiasi cosa: o vinci o sei un fallito, non esistono mezze misure.

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