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  • Sampmania: in Sampdoria-Cagliari ci sono un sacco di ‘però’

    Sampmania: in Sampdoria-Cagliari ci sono un sacco di ‘però’

    • Lorenzo Montaldo
    E’ vero, Audero ha fatto un rinvio sbagliato, a gara finita. Però quanti interventi aveva effettuato fino a quel momento, per tenere a galla la Sampdoria? E’ vero, Giacomelli ha allungato il recupero all’inverosimile, però quanto sarebbe stato facile tenere il pallone, far passare gli ultimi secondi, prendere un fallo o rubare il possesso al Cagliari, con più ordine, lucidità e convinzione? E’ vero, contro i sardi subiamo sempre gol incredibili, in situazioni impensabili, però bastano due tiri in porta e quindici minuti di gioco su 95 effettivi a giustificare la vittoria? A me, a tutti noi girano come pale eoliche, buttare nella spazzatura due punti al gusto di miracolo è un peccato sanguinolento. Ma quanti ‘però’ ci sono, in Sampdoria-Cagliari?

    Volendo possiamo aggrapparci alla sfiga, alle maledizioni, alla jella e alla malasorte, magari con una spolverata di malafede arbitrale, oppure possiamo provare a svolgere un’analisi più equilibrata della partita. Se propendiamo per la seconda via, possiamo valutare placidamente quella di ieri come una Sampdoria molto brutta e povera di idee? O anche questo è accanimento nei confronti di Ranieri? Il primo tentativo in porta dei blucerchiati è arrivato a metà secondo tempo, dopo una prima frazione in balia completa del Cagliari. I due gol trovati dal Doria, in grado di ribaltare il match, nascono da giocate individuali e non da una corale manovra organizzata. Si può ancora dire, senza essere tacciati di chissà quali nefandezze? Il primo è un’invenzione di Ramirez valorizzata da un gran inserimento di Bereszysnki, il secondo un gioiello di Gabbiadini in compartecipazione con Quagliarella, capace di andare in pressing sulla trequarti difensiva e poi di ripartire in contropiede con lucidità a 37 anni e dopo 80 minuti di gara. Sul serio vogliamo attribuire la colpa del pareggio alla sfortuna? Non si tratta di sminuire la squadra, anzi, ero esaltato all’idea di rubacchiare due punti - sarebbe l’ora - ad una delle squadre più ostiche per noi. Però (eccone un altro) forse il fatto di non esserci riusciti significa meritarselo.

    Oramai la totale assenza di trame di gioco e di azioni per il Doria non è più una novità, bensì una costante. Arrivati a marzo, non la troveremo per magia nel giro di un paio di mesi. E dire che, per la prima volta in stagione alla lettura delle formazioni ufficiali avevo poco o niente da ridire in merito alle scelte di Ranieri. Sulla carta, mi sembravano le più logiche e lineari. In teoria, con Damsgaard fuori perché reduce dalla febbre, era lo schieramento tipo. Forse avrei preferito Yoshida al posto di Ferrari, per me la coppia migliore di centrali è quella formata dal giapponese con Colley, ma sono sottigliezze. In campo però - l'ennesimo, lo so - l’undici blucerchiato si è presentato molle, disunito e disordinato, ponendo l’accento non solo sulle responsabilità del mister (lapalissiane, in particolare a livello di organizzazione e di idee) ma anche sui limiti caratteriali e tecnici di questa formazione. I due grandi e sbandierati acquisti estivi Candreva e Keita ieri, come contro Genoa e Lazio, sono stati forse i peggiori tra i blucerchiati in campo, e basta questa istantanea a dipingere il quadro della Samp attuale. 

    Altro che Europa League, ottavo posto, cinquantadue punti e tutte le fanfaronate varie e assortite ascoltate in questi mesi. La permanenza in Serie A al momento non è a rischio. Toccate ferro, è un discorso antipatico, lo so, ma dodici punti sulla zona calda rappresentano un buon tesoretto da gestire in maniera oculata. Occhio però, potrebbero diventare dieci in caso il Torino vincesse uno dei due recuperi. Comunque si tratta di un vantaggio abbastanza rassicurante. Eppure arrivare a quota 40, meglio ancora 42, non sarà per nulla facile. Come sempre, appena sono venute meno le motivazioni di classifica, la Sampdoria si è adagiata, appiattita su sé stessa dall’incapacità dei piani alti di fornire stimoli adeguati, e forse pure dal rilassamento generale di un ambiente ormai abbonato al mantra ‘Chi critica non vuole il bene della squadra’. Un determinato spirito nell’approcciare la seconda parte di stagione, tristemente familiare purtroppo, credo scaturisca da questi aspetti. Da parte mia continuo a ritenere le critiche, se formulate in maniera educata e costruttiva, come un attestato di stima e un pungolo a migliorarsi, per smuovere spirito di rivalsa in atleti teoricamente imbevuti di competitività. Se hanno la pancia piena o la testa già altrove è tutto più difficile, ovvio. Dovrebbero essere società e allenatore a motivare. Ma forse sbaglio io.

    La mia peggiore paura sapete qual è? Ritrovare all’improvviso gli stimoli per colpa del quartetto di partite alle porte, al cospetto di Bologna, Torino, Milan e Napoli. Anche perché in quel caso non sarebbero stimoli positivi. Da qui a metà aprile ci sarà da ballare. La speranza, vista l’incapacità del Doria di imporre un suo gioco e un suo DNA di fronte a squadre alla portata, è un sussulto di orgoglio da parte dei giocatori in possesso della giocata individuale. Sono i vari Candreva, Keita, Ramirez, Quagliarella e Gabbiadini a dover tirare fuori i colpi necessari per blindare la permanenza in A. A furia di affidarsi all’improvvisazione del talento, rischi di prendere dolorose mazzate in mezzo alla schiena. La rete di Nainggolan di ieri è lo spigolo sul mignolo dei gol, e penso non ci fosse modo peggiore per chiudere la partita dei ‘però’.

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